Dentro un albero – Racconto

Dentro un albero:

“Dentro un albero” è un racconto che parla di destino. L’incubo di una notte è un brutto temporale, una corsa a piedi nudi in una foresta, il fulmine che abbatte un albero. Così incomincia il mio racconto. La protagonista è una giovane donna dell’epoca romana, il temporale non basta a terrorizzarla, è inseguita da un grosso orso. Si salverà? Purtroppo no, il fulmine abbatte un albero che le cade addosso e spezza la sua giovane vita. Quindi si arriva ai nostri giorni. Una donna moderna corre per i figli, corre per il lavoro, corre per le mille incombenze della vita. A fermarla ci pensa un brutto incidente stradale.
Passa qualche anno in coma, i figli crescono, lei si sveglia improvvisamente e incomincia a riprendersi. Qualcosa di strano succede. Improvvisamente si ritrova a pensare come un’antica donna romana. Tutto ciò che è moderno, non lo conosce. Spaventata da tante novità fugge dall’ospedale e si rifugia nella foresta. Le due anime che dividono il suo corpo si alterneranno, lei le vivrà con serenità entrambe. In compagnia di un povero lupo solitario. Quale delle due donne resterà alla fine del racconto?

“Improvvisamente tutto precipita: in una calda notte estiva, l’infermiera di guardia si allontana per bere una bibita fresca e Ananke si allontana indisturbata dalla clinica.

A piedi nudi, vestita come vogliono gli uomini vestiti di bianco, esce da quel posto senza alberi. Attraversa il parco della clinica, raggiunge il grande sentiero e trova alberi, tantissimi alberi: una bella e profumata foresta.

Fuga dall’ospedale

La luce della luna le è sufficiente per non inciampare nei rami caduti e nelle radici. I pini profumano e le cicale friniscono. Sente uno strano rumore arrivare dal grande sentiero. Due occhi lucenti e un rumore assordante. Ananke si volta e fugge. L’orso che la inseguiva, l’ha trovata. Corre, corre, le gambe le fanno male, i piedi si feriscono e dolgono, il fiato le manca. Il rumore cessa, Ananke si volta indietro e non vede più gli occhi lucenti. Non si ferma. Il terrore le morde lo stomaco e, nonostante i piedi dolenti, continua a correre sempre più profondamente nella foresta.

Il suono di un corso d’acqua la attira. Acqua fresca. L’arsura del caldo e della corsa, i piedi che penetrano dentro l’acqua, nella mota fine, il dolore che si spegne.

Ananke s’inginocchia dentro l’acqua. Con le mani a coppa beve acqua gelida sino a riempire lo stomaco e quando si risolleva, si guarda intorno. La foresta è agitata da una leggerissima brezza, gli alberi illuminati dalla luce lunare. Ananke cerca qualche punto di riferimento, ma non riconoscendo il luogo decide di risalire la corrente seguendo il corso del fiume. Ormai è l’alba, quando trova una rientranza nella roccia abbastanza ampia da poterla ospitare. Si siede e poi si rannicchia a terra, in posizione fetale. Chiude gli occhi. Il sonno la coglie, mentre il sole incomincia a salire e scaldare l’aria. Ananke sogna; l’orso non c’è, ma c’è quella donna che la chiama “mamma”, ci sono quegli uomini e quelle donne vestiti di bianco che la toccano, il sogno diventa incubo e si riempie di mani che cercano di stringerla e di farle male. Il sonno agitato prosegue, sempre più spaventoso, sino a che riapre gli occhi.

Il sole è alto nel cielo, a picco. Solo la piccola rientranza sotto la roccia è all’ombra e il fresco della terra e dell’ombra, mitigano appena il calore della giornata.

Nel tempo sbagliato

Ananke ritorna al fiume, entra nell’acqua e beve con avidità sino a spegnere la sete che la perseguita. Si lava il viso come le hanno insegnato gli uomini vestiti di bianco. Non si cura dei vestiti zuppi, il caldo del sole li asciugherà in fretta. La fame prepotente la spinge dentro la foresta, con lo sguardo rivolto a terra o verso i cespugli. Cespugli con bacche blu o rosse, cibo che conosce bene. Manciate di bacche per togliere la fame. Il suo sguardo è attratto da un tronco caduto, coperto dal muschio. Prende un pezzo di ramo e toglie una porzione di corteccia marcita. Sorride. Bianche, grasse larve si muovono all’aria. Il gusto dolce, la consistenza morbida, le riporta alla memoria ricordi antichi.

Quando lo stomaco è pieno, ricomincia a camminare. Tra gli alberi intravede una montagna, è verso quella zona che si sente attratta e verso cui dirige i suoi passi. Le montagne sono ospitali, hanno caverne sicure, difendibili.”

 

Il vento tra le vele Racconto

Il vento tra le vele:

Il vento tra le vele è un racconto ma anche l’auspicio per una buona navigazione. Questo racconto nasce dalla vacanza in barca a vela di una mia carissima amica. La dovevate ascoltare e guardare: la felicità fatta persona per le bellissime avventure vissute, il mare, il cibo, l’esperienza di vita. Credo che molte vacanze arricchiscano e rendano felici e lei ne era veramente entusiasta.

Con le sue parole e il suo entusiasmo dentro la testa, sono tornata a casa e mi sono messa a pensare. Ne è venuto subito fuori un racconto super romantico di viaggi in mare, di skipper muscolosi, tramonti mozzafiato. Bene. Era veramente così scontato un racconto? Qualche paginetta sdolcinata? Assolutamente no. Ci voleva qualcosa di più. Prima di tutto una barca a vela. Non sapevo niente di barche a vela, quindi sono andata in biblioteca e mi sono fatta imprestare un libro. Poi, grazie ad internet, ho cercato diari di viaggio di vacanze in barca a vela. È venuto fuori un mondo meraviglioso di tour della Grecia, di traversate oceaniche, di viaggi avventurosi e di stili di vita. La meta del viaggio è arrivata come una fucilata, il Madagascar, un diario di viaggio bellissimo che mi ha raccontato la traversata e l’arrivo in Africa. Quindi era quella la meta del mio racconto.
Non l’isola principale, ma una delle isolette dell’arcipelago. Un isola che si chiama Nosy-be, soprannominata “l’isola dei profumi” per via delle grandi coltivazioni di spezie. Vi rendete conto? La meta perfetta per un bel viaggio romantico. Lo scopo? Mettete una barca a vela in mare con una mappa, magari con il tesoro. Uno skipper maturo, muscoloso, abbronzato e francese. Manca qualcosa? La mappa e il tesoro. Sorpresa!

“Una linea ondulata contiene la scritta “Africa” e poi c’è il disegno abbozzato dell’isola di Madagascar. Nelle vicinanze ci sono i contorni di varie isolette. Solo una di esse ha il nome scritto. È l’isola di Nosy-be. Su un promontorio, capeggia una “X” arancione o rosso sbiadito.

Nell’angolo in basso a destra la firma è ormai illeggibile e della data si legge a fatica solo l’anno che forse è “1786”. La lente d’ingrandimento non le permette di leggere più agevolmente la firma, ma le sembra di riconoscere le iniziali: B e M.

La mano della ragazza corre alla Bibbia. La copertina di pelle scricchiola un poco, la prima pagina fruscia rumorosamente. Sulla seconda e terza pagina, c’è un elenco di nomi e di date. Sono tutti gli antenati della ragazza con le loro date di nascita e morte.

La ragazza non vuole guardare l’ultima riga della terza pagina. È una lettura troppo dolorosa. Risalendo le date, trova solo parenti nati dopo il 1786, sino ad arrivare al capostipite della famiglia: Barnaba Marino(1745-1810). Prima di lui non c’è nessuno, quindi la Bibbia gli apparteneva e doveva essere sua anche la mappa nascosta nella copertina.

Antenati

Barnaba Marino era un capitano di lungo corso, viveva in una colonia asiatica, con la sua famiglia aveva una nave per trasportare merci in Europa. Nel 1787 era approdato sulle coste spagnole e si era innamorato di una giovane nobildonna. L’amore lo fece restare in Europa e aprire una società di trasporti marittimi. Dopo di lui, suo figlio, suo nipote e così via, sino al padre di Barbara, hanno avuto uno o più figli che si sono dedicati al trasporto via mare.

Suo nonno, terz’ultimo membro della famiglia ha dato inizio anche ad un piccolo cantiere navale per barche a vela. Gli affari di famiglia hanno avuto alti e bassi legati alla storia e alla politica, ma la capacità e la lungimiranza di questi uomini hanno sempre assicurato un buon livello economico alla famiglia. Sempre onestamente? Quasi.”