Alberi di pesco Racconto

Gli alberi di pesco fioriti, un racconto da una fotografia. Alberi non tanto alti con spettacolari chiome rosa. Una nuvola di petali profumati che riempiono un cielo azzurro. Sì, mi sembra di sentire il profumo. Le pesche. Buone. Sugose, dolci. Da far diventare marmellata, una delle mie preferite. Da queste sensazioni, nasce il racconto di Laura, che va a trovare la zia Franca. Lei ragazza di città, l’altra vecchietta un po’ musona che vive sola e che lavora come un uomo nella sua cascina. Vicino a un magnifico pescheto. Ho regalato miei ricordi di bambina a Laura e le ho fatto apprezzare la vita di campagna. Vita sana, impegnata, soddisfacente. Ecco un breve racconto per chi ha voglia di provare un week-end bucolico.

“Le sedie sono scure, pesanti, i piatti e le posate sono vecchissimi. Tutto sembra consumato dal tempo, ma non ho nulla di cui lamentarmi visto che tutto è estremamente pulito. La casa della zia ha quasi duecento anni, tutto ciò che contiene è stato tramandato, alcune cose sono state sostituite o aggiunte nel tempo, ma la radice è ancora presente e visibile. È chiaro che lei ama quello che possiede e non lo vede come vecchio e consunto.

Zia Franca mi racconta che l’orto deve essere liberato dalle nuove erbacce che stanno nascendo e che va bagnato. Ci sono le piantine di pomodori che stanno crescendo e vanno legate sui bastoni. Ci sarà lavoro fino a sera. Le chiedo a che ora vuole incominciare e mi risponde: – Dopo che avrai lavato i piatti.

Finito il pranzo, l’aiuto a sparecchiare il tavolo e a portare in cucina i piatti sporchi. L’acquaio è di pietra, con un vecchio rubinetto. Non c’è acqua calda. Mentre lavo le poche stoviglie, la sento prendere la scopa e spazzare il pavimento della sala. Fatto ciò, scompare. Lavo i piatti e li asciugo. Quando esco nel cortile non la vedo, giro dietro la casa, verso l’orto e la trovo piegata a strappare l’erba. Fa caldo. Mi tolgo il maglioncino, mi rimbocco le maniche e faccio la stessa cosa.

Dopo un poco, la zia incomincia a cantare. È una canzone che ho già sentito mille volte da bambina, mi unisco a lei. La voce esce a fatica, piegata in quel modo verso il terreno, non so forse l’abitudine…

La sera arriva lentamente, le mani sono verdi e nere di terra, mi fanno male.

Mentre le lavo con un vecchio pezzo di sapone Marsiglia, penso a quanto lavoro ho fatto oggi, così abituata alla vita comoda di città. Di solito le mie mani sono morbide di crema, al limite macchiate d’inchiostro. Adesso invece, sono arrossate, con righe verdi e nere che non vengono pulite. La faccia è in fiamme per il sole, il caldo, la fatica. I capelli sono attaccati al collo e al viso, con il sudore che scende lungo il collo. Mi chiedo che cosa direbbero le mie amiche. La zia mi aspetta in casa, mi porge un secchio pieno di mais e mi dice: – Dai la cena alle galline, intanto preparo tavola.

In cortile le galline mi vedono arrivare con il secchio di metallo e mi vengono incontro chioccianti. Si ammassano e beccano il secchio. Mi spaventano, quindi mi sbrigo a prendere grosse manciate di chicchi e versarle lontano da me. Si allontanano di corsa e si azzuffano per accaparrarsi mucchietti di semi. Le guardo, sono tutte marroni, con la crestina rossa. Il gallo è grosso, un po’ spennato. Ha una cresta enorme e due grossi bargigli rossi.

Mi guarda con un occhio giallo, mentre becca un po’ di mais.

Quando rientro in casa, ad aspettarmi c’è una cesta di vimini.

– Devi raccogliere le uova!

– Dove le trovo?

– Dappertutto!.

Esco di nuovo nel cortile e cerco posti dove le galline possono aver deposto le uova. Alla fine ho un’illuminazione: in un angolo, c’è una grossa quantità di fieno, con una scala sporca di sterco di gallina. Le uova sono lì, nascoste in mezzo alla paglia. Sono tiepide. Grandi, con il guscio giallo scuro. Ne raccolgo moltissime. Rientro, fiera del mio lavoro, e porgo alla zia il cesto.

– Brava! Visto che le hai trovate?

– Come faccio a sapere che sono tutte? Se ci sono altri posti?

– Le mie galline le fanno in un posto solo, quelle che non hai visto oggi, le vedrai domani. E poi quella è la quantità che fanno di solito…

Mi sento fiera. La zia è un po’ burbera, ma sino ad ora non ha avuto nulla di cui lamentarsi, credo.

Ho una fame terribile, il profumo del cibo mi fa quasi svenire.

– Vieni, mangiamo!”