Le ossa di Connio Vecchio – Racconto
Le ossa di Connio Vecchio
Il racconto “Le ossa di Connio Vecchio” è tratto dall’antologia: Racconti dal Piemonte, pubblicato da Historica Edizioni
Brigitta è la cameriera personale della moglie del Capitano. Giovane in boccio, lunghi capelli neri, occhi profondi e sorriso pronto. Una tortura per l’ufficiale che non sa resistere a quella visione tanto sensuale. Una notte di luna piena, smanioso di cogliere quel frutto, penetra nella stanza. Brigitta si sveglia terrorizzata. Si divincola, urla e fugge. La servitù esce dalle stanze e sorprende l’uomo. Lui urla che lei lo ha ammaliato.
“È una strega!”
Non c’è accusa più terribile. Impugna la spada e con un solo colpo le taglia la testa. Sul posto, senza dare la possibilità alla giovane di dire una parola. Nessuno può reagire. Il corpo verrà sepolto dietro al castello. La testa lontano cento passi dal corpo. Per tutti la storia finisce così. Brigitta scompare nella loro memoria. Solo un’accusa infamante, un uomo potente intoccabile e una vittima innocente. Passano i secoli, Brigitta non diventa neanche leggenda.
Gita in moto
Connio vecchio, oggi, è un piccolo borgo abbandonato. Le case in pietra non sono rimaste in piedi. La Natura ha ripreso i suoi spazi. Sara e Marco si conoscono da sempre, sin da quel primo giorno d’asilo dove gli occhi verdi di lei avevano acceso gli occhi neri di lui. Oggi uniti da un amore indissolubile, compagni con la stessa passione. Moto, tende e libertà. La scoperta di quel borgo abbandonato è una sorpresa. Marco è felice, le braccia di Sara intorno alla sua vita, la velocità, il viaggio da soli, lontano da tutti. L’ultimo tratto di strada è impegnativo. Curve e controcurve su un percorso immerso nel verde, bello da togliere il fiato.
Sara stringe forte i suoi fianchi, Marco sa che ha paura, decide di andare piano. Il traffico, per fortuna, è inesistente. I primi ruderi compaiono tra gli alberi. Uno spiazzo abbandonato in cui fermare la moto. La tensione dell’abbraccio che si allenta. Le mani sul manubrio che finalmente si possono aprire e rilassare. Sara scende. Si toglie il casco e disfa la treccia stretta. Lunghi capelli rossi scivolano sulla pelle del giubbotto. Marco si toglie il casco e guarda gli occhi verdi di Sara che lascia cadere il suo sguardo su un sorriso magnetico. I cuori battono all’unisono, come sempre.
– Posto favoloso!
– Hai avuto paura?
– Un tantino, spero di non averti stretto troppo.
– Solo due costole incrinate, non di più!
– Spiritoso! Questo posto, però è fantastico. Passeremo una notte spaziale tra questi ruderi.
– Vieni facciamo un giro. Ci guardiamo intorno e cerchiamo un posto dove mettere la tenda. Zaino in spalla!
Bisogna farsi largo tra gli sterpi e le erbe alte. Il cielo è un via vai di uccelli. I corvi si posano sui rami e puntano topini di campagna che corrono tra i rovi. Passa un airone. Un gatto scheletrico e spelacchiato attraversa il sentiero. Li guarda e soffia.
– Bell’accoglienza!
– Dai, Sara. Poverino! Deve contendersi i topi con i corvi. Gli lasceremo gli avanzi e diventerà nostro amico.
Sara si ferma, lo sguardo gira su un panorama suggestivo.
– Hai la macchina fotografica?
– Sì. È nello zaino, sotto la tenda.
– Le fotografie le farò dopo, allora. Cerchiamo un posto per accamparci.
– Ho intravisto uno spiazzo, là vicino a quel grosso rudere.
Due grandi pareti in pietra. Una sembra agganciarsi a una torre. Un po’ più alta, con qualche finestrella stretta. L’atmosfera è vagamente inquietante.
– Marco, sembra un castello!
– Probabile. Quelle sono feritoie. Potrebbero essere gli ultimi resti di un borgo fortificato, ma internet non lo dice. Andiamo a vedere? Aggirano una delle due pareti e si ritrovano in un fitto groviglio di rovi.
– Torniamo indietro, qui non si passa.
Lo scheletro
Sara è bloccata. Ai piedi del rovo c’è una mano scheletrica. Bianche ossa che sembrano indicare la torre che è alle sue spalle. Senza pensarci incomincia a scavare piano, con le mani. La terra morbida scivola da uno scheletro coperto da una candida camicia da notte. Inspiegabilmente candida, nella terra rossa. Guarda dove la mano indica. Si ferma ai piedi del rudere. Segue la linea delle pietre. Una ciocca lunga di capelli esce dalla terra. Scava ancora. Un teschio e qualche capello nero. Lucido. Non ci sono parole o pensieri nella testa di Sara, solo gesti delicati per quei poveri resti. Marco la guarda e non sa se fermarla o aiutarla. Sara sembra in trance. Prende una coperta dallo zaino, la stende. Lo scheletro è fragile e avvolgerlo nella coperta richiede una delicatezza infinita. Sara si riprende. Sorride all’uomo che la capisce anche senza parlare.
– Cosa facciamo?
– Non lo so, bambina. Dobbiamo preparare il campo, è tardi per tornare giù. Domattina andiamo in città e denunciamo il ritrovamento.
– Chi sarà?
– Direi una donna. Strano il fatto che i capelli e la camicia da notte non siano sporchi. Deve essere sepolta qui da anni. La foggia della camicia da notte non è moderna. Ci sono indizi inspiegabili, mio caro Watson!
Sara ride. Raccolgono gli zaini e preparano il campo. Scende la sera, un uccello notturno canta. Sara sussulta. Marco accende la torcia e lo illumina. Sembra una civetta o un gufo, gli occhi lucenti. Sara ha un sospiro di sollievo.
-Spaventata?
– Forse mi faccio prendere dall’atmosfera del posto. Siamo soli, in un posto deserto. Quello scheletro è fragile, non può certo farci del male. Forse leggo troppi libri del terrore. Lasciamo perdere. Con te vicino non può succedermi niente!
– Bene! Andiamo a dormire! Casa tua o casa mia?
Il tono è ammiccante, Sara sa cosa significa.
– Marco!
– Sara!
Lei ride e sgattaiola dentro la tenda. Marco butta l’ultimo sorso di caffè sul fuoco. Sfrigola e si spegne. Quando la cerniera della tenda è chiusa, Sara accende la torcia. Marco si sta spogliando. Quel giovane corpo è un piacere per gli occhi e una sicurezza. Marco ha muscoli che guizzano, piccole isole di peluria scura e le fossette agli angoli della bocca quando sorride. I rumori della notte si fondono con i sospiri e i baci, ma poi la loro attenzione è attratta dallo scricchiolare di qualche ramo.
Il fantasma
– Aspetta! C’è qualcuno!
– Sh!
Trattengono il fiato. Tutto tace, anche il canto degli uccelli notturni. Il silenzio è denso e inquietante. Si stringono nel buio. Altro scricchiolio. Un fruscio sul retro della tenda, come una mano che passa sulla tela. Marco cerca a tentoni il coltello a serramanico. Lo stringe. Tiene una mano sulla bocca di Sara. Lei trema sotto le sue dita. Lui apre appena la cerniera. Un’ombra sembra passare tra gli alberi e si allontana. Un gatto miagola e poi soffia terrorizzato. Sara geme soffocando un urlo.
– Sssh! Sembra che sia andato via. Cerca di dormire un po’, io faccio la guardia.
– Tesoro, mancano ore all’alba.
– Tranquilla. Domattina andiamo via presto.
Sara si stende dopo aver passato un maglione a Marco. Dopo un po’ dorme serena. Marco è teso. Ogni più piccolo rumore lo fa sussultare. Sente che il sonno sta per prenderlo. Esce dalla tenda e riaccende il fuoco. Prepara il caffè. Niente lo potrà fermare, lui deve proteggere la sua Sara. Ad ogni costo, con quel piccolo coltello. Un’ombra scivola piano tra gli alberi, nebbia bianca e lucente tra il nero della notte. Marco si alza in piedi, pronto ad affrontare qualunque cosa. Una donna entra nel cerchio di luce. Lunghi capelli neri, occhi scuri, pelle diafana e una lunga camicia da notte candida. Si siede vicino al fuoco.
Una triste storia
“Brigitta è il mio nome. Lo scheletro e la testa che avete trovato sono miei. Ne avete avuto cura. Non avete nulla da temere. Sono passati secoli dalla mia morte, ingiustamente accusata di stregoneria. Uccisa per farmi tacere. Non chiedo altro che avere una degna sepoltura. Sotto la grande quercia che c’è sopra il castello. Là sono stata felice. Marco, ti prego, dai pace al mio corpo, con una sepoltura degna.”
– Te lo prometto. Avrai pace. Stamattina, appena sorgerà il sole.
La donna lo guarda e tace. Arretra piano fuori dal cerchio di luce. Marco non riesce a dire altro. Lei non parla più. Scompare. Riappare un po’ più in là. Scompare ancora. Le parole gli muoiono in gola. Le mani tremano. Ricompare e tende una mano verso la torre. Marco guarda e resta di sasso. Una luce fioca illumina quelle finestrelle strette, solo quelle in alto. Il bagliore lo sorprende. Lassù non potrebbe arrivarci nessuno.
La donna si dirige verso la torre, apparendo e scomparendo a tratti. Scivola leggera come nebbia sul terreno. Raggiunge la torre. Si volta verso Marco e lo guarda. Alza una mano bianca e lucente ai raggi della luna, un saluto appena accennato. Scivola liquida lungo la parete. Penetra nella finestrella stretta e scompare. Appeso alla finestra, resta uno pezzo di stoffa bianca mentre il bagliore scompare. Marco ha freddo, come non ne ha mai avuto in vita sua. Rientra nella tenda. Chiude la cerniera e abbraccia Sara.
– Sei gelato!
– Dormi tesoro mio.
– Stai tremando, stai bene?
– Dormi.
Stretti in un abbraccio, si addormentano di nuovo. Sorge l’alba. Marco fa quello che ha promesso. Una piccola fossa, la delicatezza di una sepoltura profonda, qualche fiore lasciato sulla terra smossa. Una preghiera. Torna al campo, Sara dorme ancora. Il tempo di preparare la colazione. Smontano il campo, pronti ad andare via.
– Marco, hai i pantaloni sporchi. Cosa hai fatto?
– Non so. Qui la terra è rossa, magari sgattaiolando dentro e fuori nella tenda, li ho sporcati.
Sara non parla dello scheletro, non parla dei carabinieri da avvisare, sembra aver dimenticato tutto. Marco non parla della strana notte che ha vissuto. La finestrella della torre ha ancora lo straccio bianco che ondeggia piano all’aria fresca del mattino, ma Sara non lo vede.
– Andiamo, Sara. Ci aspetta quel paese laggiù. C’è un romantico ristorantino e io ho prenotato un tavolo per noi.
Sara non dice nulla, ma sorride felice. Il fine settimana finirà presto e ogni momento con il suo amore va goduto sino in fondo. Prima di lasciare quel posto, Marco gira intorno lo sguardo. Alza gli occhi verso la torre. Lunghi capelli neri ondeggiano alla brezza. Una mano candida saluta.