Il faro di Antipaxos – Racconto horror

Il faro di Antipaxos

Il racconto “Il Faro di Antipaxos” è tratto dall’Antologia: Orrore al sole 2022, pubblicato da: Letteratura Horror

Melanie Philler raccoglie la posta. Tanta pubblicità e una grossa busta bianca. Una bella calligrafia elegante e una penna stilografica, strana scelta per un’offerta commerciale. “Gentile signorina, il suo nome è stato estratto… per una settimana…”. Legge quella lunga lettera più volte.

Ha vinto una settimana, completamente gratuita, sull’isola di Antipaxos. La firma è del direttore di una rivista di fotografia a cui è abbonata. Il sogno di una vacanza all’insegna della fotografia, completamente gratuita, è troppo bello per farsi delle domande.

Raggiunge l’isola di Antipaxos con il taxi boat del comandante Ignatios. L’uomo è piccolo, muscoloso, abbronzatissimo. Vicino ai suoi bagagli ci sono le provviste per l’isola.

«L’isola è deserta, vero?»

«Nai! Sì. La stagione è quasi finita. Sono rimasti pochissimi turisti.»

«Devo trovare il signor Gheorghe Morar.»

«È il guardiano del faro, l’unico abitante dell’isola. Kaly Tychi! Buona Fortuna. Sono anni che gli porto il cibo ogni settimana e non l’ho mai visto.»

«Come?»

«Arrivo al pontile, porto le provviste in casa, prendo l’ordine per la settimana successiva e vado via. A volte consegno conigli.»

«Conigli?»

«Gheorghe fa questo: li alleva, li mangia, concia le pellicce.»

«Capisco.»

Arrivo sull’isola

Il taxi boat si ferma di fianco al pontile. Quando Igniatios deve ripartire, guarda Melanie con un’espressione dubbiosa.

«Kaly Tychi! Buona fortuna. Vengo a prenderla la prossima settimana. Se ha bisogno, usi la radio militare, chieda a Gheorghe. Kaly Tychi!»

L’uomo si fa il segno della croce, bacia un crocifisso ortodosso che porta al collo e si stacca dal pontile. Melanie si chiede perché abbia fatto un gesto simile. Un soffio gelido le sfiora la nuca e un brivido le corre lungo la schiena mentre si dirige verso il faro. Gheorghe Morar non c’è. Visiterà la casa e sistemerà le provviste da sola. Un ambiente unico per cucina, salotto e ufficio. Due camere da letto e un bagno.

L’arredamento è essenziale e un po’ consumato. La radio militare è su una grossa scrivania coperta di fogli. Dietro una porta di metallo ci sono le scale che portano alla lampada del faro. Melanie lascia i bagagli in una stanza che ha solo un letto in ferro e un armadio vuoto.

Trascorre il pomeriggio al limitare della spiaggia. Si addormenta all’ombra degli alberi. Un fruscio e l’impressione di essere osservata la risveglia bruscamente. Attraversa la spiaggia ed entra in acqua. Qualche bracciata e poi si dirige verso casa.

La porta è aperta, si sente rumore di stoviglie. Un uomo sta preparando la cena. Ha un fisico imponente, indossa una camicia di lino bianca e un paio di pantaloni di cotone stinti.

«Buonasera, mi chiamo Melanie. Grazie per questa opportunità. L’isola è bellissima.»

«Kaló apógevma. Kalos irthathe. Vuol dire: Buona sera e benvenuta. La camera va bene?»

«Benissimo, grazie! Stasera uscirei un paio di ore per scattare qualche fotografia, se posso.»

«Che cosa fotografa?»

«Uccelli notturni, flora e fauna autoctone.»

«Capisco. Resterà fuori tutta la notte?»

«Un paio d’ore mentre c’è ancora un po’ di luce.»

«Stia attenta. È un’isola selvaggia. Non ci sono strade illuminate, sentieri segnati. Il bosco è fitto. Sarò impegnato tutto il giorno, tornerò domani sera.»

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Gheorghe è un uomo di bell’aspetto, maturo, con mani lunghe e magre. È stato silenzioso per tutta la cena, e lei ha rispettato il suo riserbo. Il crepuscolo non durerà ancora molto. Nel bosco non si sente il minimo suono. Qualcosa di pericoloso la sta osservando. Continua a camminare sino ad una radura. Un battito d’ali attira la sua attenzione, è un suono improvviso, forte, ritmato. Un grosso pipistrello attraversa il cielo e si dirige verso Paxos.

Quando il buio è più intenso, s’innervosisce. Non c’è movimento tra gli alberi, quindi ritorna al faro. La casa è silenziosa, si stende sul letto cigolante e si addormenta subito.

Sogno o realtà?

Il bosco che sta sognando è pieno di sussurri, schiocchi e versi inquietanti. Verso di lei avanza uno strano essere senza lineamenti. Un lungo corpo sottile con braccia, mani e dita lunghe. I cespugli sembrano spostarsi al suo passaggio. Quando l’essere la raggiunge, l’avvolge in una nuvola di fumo odoroso di muffa. Pietrificata dal terrore apre la bocca, vorrebbe urlare ma la voce non esce.

Il suo braccio sinistro si solleva, sente una puntura e un rumore liquido di sangue che viene succhiato. Il suono della sveglia la riporta alla realtà. Si guarda intorno, si sente confusa. Sudata e fredda guarda il polso sinistro su cui ci sono due minuscoli punti rossi perfettamente allineati. Con il cervello annebbiato si trascina in cucina per una tazza di the forte. La porta della stanza di Gheorghe è aperta, l’uomo è già uscito.

Attraversare lo spiazzo assolato davanti a casa è una tortura. La pelle brucia e il sole le dà fastidio nonostante gli occhiali scuri. Costeggia la stretta ombra del muro di casa e raggiunge l’ombra fresca del bosco. Non tocca la sabbia calda della spiaggia. Distesa all’ombra guarda il mare, sprofonda in un sonno profondo per tutto il giorno.

In cucina, Gheorghe sta preparando la cena. Raddrizza la testa e non si volta. Le porge un piatto: coniglio appena scottato in padella. Sorride soddisfatto. Sembra aver capito che lei è affamata come non mai. Gli occhi dell’uomo hanno un cerchio dorato e lucente intorno alle pupille e Melanie ne resta affascinata. Lo sguardo sembra entrarle dentro e frugare tra le sue carni e l’anima. La sta aspettando in salotto con due bicchieri di liquido rosso e denso sul tavolino da the.

«Finiamo la serata con qualche parola? A volte è gradevole un po’ di compagnia.»

Melanie si siede sulla poltrona di fronte a lui. L’uomo le porge il bicchiere caldo. La guarda negli occhi e mentre il suo stomaco rischia di rivoltarsi, lui la costringe a bere, solo guardandola. È sangue, caldo e viscido; disgustata lo beve senza fermarsi. Gli occhi dell’uomo non si staccano dai suoi. La voce è suadente, parla di navi e tempeste. Un’altra voce, dentro la sua testa, le fa un lungo elenco di cose che deve sapere: il sole incenerisce, deve bere sangue caldo regolarmente, può trasformarsi in pipistrello o nebbia. Vivrà duecentocinquanta anni. Non può sottrarsi, ormai deve percorrere quella strada.

La maledizione

Gheorghe accende una vecchia radio, ne esce una musica lenta, un po’ gracchiante. Prende la mano di Melanie, l’aiuta ad alzarsi e le appoggia una mano sul fianco. Elegante ed educato, la fa scivolare lentamente su quel pavimento che sente di sfiorare appena. Quando la musica cambia, Gheorghe le dà un bacio leggero sul polso prima di portare il braccio intorno al suo collo. I loro corpi aderiscono e Melanie prova una sensazione di languore, il cuore le batte forte, una vena pulsa. Il corpo dell’uomo non trasmette calore e la pelle è cerea.

“Qualcuno ti aspetta a Londra?”

“Nessuno.”

Gheorghe sembra soddisfatto. La guarda e incomincia a raccontarle una storia terribile.

«Vivo qui da duecentocinquanta anni. Sono un non morto, un vampiro. Ero un marinaio. Avevo una moglie e due bambini piccoli. Ho accettato il lavoro al faro per stare vicino alla mia famiglia. Dopo un mese mia moglie si è ammalata, sempre più debole e magra. Eravamo soli, abbandonati a noi stessi. Si sono ammalati anche i nostri figli. Una notte, un uomo bussa alla mia porta.
Mi ha offerto una morte indolore per i miei cari in cambio di una “non vita” per duecentocinquanta anni, al suo servizio. Ero disperato e ho detto di sì. Ha affondato i denti nel mio collo, mi sono sentito morire. Quando mi sono risvegliato era notte fonda. Ho messo fine al dolore della mia famiglia. Li ho sepolti in fondo alla grotta. Trascorro lì le mie giornate, di notte servo il mio padrone e mi nutro di sangue caldo. Domani il mio tempo sarà finito.»

Melanie capisce la disperazione di Gheorghe. Il pensiero la tiene lontana dall’orripilante prospettiva del suo futuro. Quei due puntini sul suo polso sono la sua condanna. Presto sarà una non morta. Guarda negli occhi Gheorghe. Sta perdendo lentamente la sua umanità, ma una lacrima sfugge al suo controllo. Lui l’asciuga piano e mormora “Efcharistó. Grazie.”

L’uomo la solleva e la porta nella sua stanza. Le bacia piano le labbra, scende lungo il collo e punge. La sua schiena s’inarca in un guizzo di piacere. Gheorghe bacia il suo braccio e lei geme, il piacere e il terrore si mescolano, sino a quando i denti affondano nel polso. Mentre il suo corpo esplode in scariche elettriche di piacere, la sua mente cerca di arginare la paura folle che sta provando. Il cuore le fa male, ha poco sangue da pompare. L’ultimo battito e poi la vita finisce. Nel suo ultimo istante di lucidità, l’uomo le sussurra: “Ti prego, liberami da questa maledizione.”

Melanie riapre gli occhi. Il buio è fitto. Deve nutrirsi subito, non ha mai provato un desiderio così perentorio. Gheorghe è disteso sul letto, sveglio, lo sguardo fisso davanti a sé, le braccia distese lungo i fianchi. Lei si ferma sulla soglia, accecata dal desiderio. Sente l’odore della pelle, il respiro e lo scorrere del sangue nelle vene.

La bocca le fa male, nuovi denti sono cresciuti in fretta e sembrano essere attratti dalle vene blu che pulsano sotto la pelle cerea. Quando affonda i denti nel polso, il desiderio diventa irrefrenabile, succhia sino all’ultima goccia.

Addio Gheorghe

Melanie ha posto fine alla non vita di Gheorghe e il suo corpo è invecchiato in un attimo. La pelle è diventata cuoio scuro, appiccicata alle ossa. Le orbite si sono svuotate, le guance infossate e i capelli sono diventati radi, lunghi e bianchi. Melanie vede scorrere un’unica lacrima che subito scompare. Un raggio di sole sfiora il letto, il corpo avvizzito diventa cenere.

Melanie si ritrae, quel raggio dorato la terrorizza. Striscia verso la botola che c’è ai piedi del letto. Gli occhi si abituano al buio, sente il battito di piccoli cuori spaventati e un’altra presenza. È il suo padrone, essenza di terrore e morte. Lei s’inginocchia mentre lunghe mani e lunghissime dita la sfiorano.

«Padrone!»