La cuoca fantasma – Racconto Horror

La cuoca fantasma 

Il racconto “La cuoca fantasma” è tratto dall’Antologia: Racconti a tavola, pubblicato da Historica Ed.

Ritorno a casa, dopo quattordici anni. Le porte automatiche dell’aeroporto mi riportano indietro nel tempo. Affitto un auto dallo stesso impiegato che quel giorno mi aiutò a lasciare la città. Oggi è un uomo con gli occhiali più spessi. Lentamente mi abituo alla situazione, il mio acido livore si stempera un po’ ad ogni chilometro. Il vialetto ha l’erba secca e la casa è solo un po’ più stinta.

L’avvocato che mi ha telefonato ha detto che mia madre è morta, circa un mese fa, non riusciva a trovarmi. Devo incontrarlo per firmare documenti importanti. Con tono magnanimo mi permette di dormire a casa. Apro quella porta e sembra che la casa sospiri, l’alito che sa di sigaro, birra e polvere. Niente è cambiato. Abbasso lo sguardo e apro la porta della mia stanza, scopro che non lo è più: il mio letto è stato spinto contro una parete, la scrivania è coperta di cartamodelli da sarta, un manichino, una macchina da cucire, filo e stoffa ovunque. L’armadio a muro contiene scatoloni che portano il mio nome: “Beth”.

Ritorno a casa e vecchi ricordi

La vita di mia madre è lì, divisa tra il cucito e il lavoro da commessa in città. In quattordici anni, mi ha scritto una sola volta per dirmi che mio padre era scappato e che l’aveva lasciata senza niente, ma che era finalmente serena. Me la ricordo la mia fuga, il giorno del mio quattordicesimo compleanno.
Mamma mi aveva preparato una torta, con la glassa al cioccolato e ciuffi di panna vera, enormi. L’avrei divisa con tre mie compagne di scuola, al pomeriggio. All’uscita di scuola, corro a casa, in cucina, ma mi blocco sulla porta. La torta troneggia sull’alzata di cristallo, ne manca un grosso pezzo, strappato e non tagliato. Il mio unico regalo è distrutto.

Scappata di casa

Mamma è seduta in un angolo, il volto affondato nel grembiule. Mio padre mi guarda, è ubriaco, la mano e il viso sporco di cioccolato, lo sguardo che mi sfida rabbioso. Sono corsa in camera mia sbattendo la porta, ho messo qualcosa nello zaino e sono uscita dalla finestra. Nessuno mi ha fermata.
All’aeroporto con pochissimo denaro e minorenne, posso solo chiedere informazioni. Un giovane impiegato mi regala una cartina del Paese e mi dà qualche consiglio. Ha gli occhi dolci dietro gli occhiali spessi. Faccio l’autostop con i camionisti, scelgo padri di famiglia, sensibili verso una ragazzina spaurita e sempre affamata.

Nella metropoli trovo lavoro in un fast-food. Il proprietario e la moglie mi aiutano a rimettermi in piedi, a tornare a scuola. Mille sacrifici e lacrime per diplomarmi, laurearmi e sopravvivere. Con la mia testarda tenacia mi sono laureata. Lavoro in un’erboristeria con una donna indiana, ho imparato cose che la scuola non insegna. La vita è diventata bella.

Prendo fiato, sono alla ricerca di ricordi e cambiamenti, incomincio dalla cucina che è vuota, come il frigorifero e la dispensa. Chi si è occupato di mia madre ha portato via tutto quello che era deperibile. Devo fare un po’ di spesa, ma non sono pronta per la curiosità e per i giudizi dei miei concittadini. Loro cosa ne sanno? In un paese vicino trovo l’anonimato che mi serve. Il mio letto da ragazza mi accoglie stanca e vestita.

Un fantasma

Sento tanto freddo, mi sveglio. Qualcuno mi ha coperta con un vecchio plaid, i raggi lunari disegnano ombre tremule. Un alito gelido arriva da una grande ombra con lunghe dita. Lo stomaco si stringe, la mano corre all’abat-jour. La luce disegna un cerchio da cui l’ombra arretra, lentamente, gemendo. Mi volto verso il muro, mi copro e ricomincio a dormire con la luce accesa, sveglia il profumo di torta al cioccolato e caffè. Un ricordo di bambina mi punge.

Colazione da un fantasma

La cucina è vuota, ma sul tavolo c’è una torta al cioccolato sull’alzata di cristallo, una caffettiera fumante, un bicchiere di succo di frutta. La colazione è pronta. Mi guardo intorno: nessuno. Il frigorifero contiene quello che ho acquistato ieri, non c’è immondizia, il forno è freddo e il lavandino è vuoto. Mangio e lascio che un’idea pazzesca mi attraversi la mente: il fantasma di mia madre ha preparato la colazione.

Oggi vedrò l’avvocato, in città. Prima di uscire, torno in cucina. La torta è sparita. Tutto è pulito e in ordine. Rido, la casa ha due fantasmi: uno cucina e l’altro mi spaventa di notte. L’avvocato ha un ufficio in centro paese, mi guarda truce, lo so, mi giudica, ma tace. Legge con voce impersonale il testamento che ha trovato in casa: mia madre ha lasciato un conto in banca e la casa. Non c’è altro. Devo decidere se accettare o rifiutare. Mi avverte che mio padre, se ancora vivo, avrebbe diritto a una parte di quei beni. Non tornerà, ma non glielo dico.

Piani per il futuro

Attraverso la strada ed entro in un’agenzia immobiliare. L’agente mi spiega che cosa devo fare per vendere, mi assicura un buon guadagno. La casa risale al 1800, è vicina alla spiaggia, vendita assicurata. La banca mi consegna una manciata di banconote, in cambio di una dozzina di firme.

Per vendere dovrei svuotare casa. Tutti i mobili sono solidi e sani, nonostante l’uso e gli anni. La libreria del salotto contiene vecchi romanzi ingialliti e valgono poco, la vetrinetta è piena di ninnoli inutili, c’è un bellissimo servizio da the di ceramica e peltro. Quello è una vera fortuna. L’enciclopedia occupa tre scaffali, ma è finta. Apro un libro, è pieno di banconote e monete. Ogni libro nasconde un piccolo tesoro. I lavori di mia madre, le sue rinunce, moneta su moneta.

La teiera, la lattiera e la zuccheriera di peltro contengono rotoli di banconote. Piango, mia madre non ha mai avuto niente, ha sempre messo ogni centesimo da parte. Le mani tremano. In cucina non c’è niente a parte le stoviglie di una vita. Gli scatoloni della mia stanza contengono i ricordi di una ragazzina che non c’è più. Un cassetto della scrivania protegge un quaderno rosso: gli appunti da sarta, i conti di casa, gli incassi. Nessun debito, la sua innata capacità di vivere con le sue sole forze.

Il bagno che profuma di mamma, contiene solo i medicinali per il cuore, vecchi asciugamani e il suo accappatoio liso. La camera matrimoniale è come è sempre stata. Due ante dell’armadio per i vestiti di mia madre, due ante per mio padre: vuote. Tutto è consumato e stinto. La cassettiera contiene una vecchia scatola di metallo: poche cose di nessun valore se non per me. L’orologio di mamma è fermo, la collana di perle per la domenica è falsa e ingiallita.

Restano la soffitta e la cantina, ma per oggi ne ho abbastanza. Esco, ho bisogno di respirare aria fresca. Quando torno, la cena è pronta: le costolette d’agnello impanate, i piselli in umido e una crostata di ciliegie. Parlo con lei, come se fosse lì. Finisco la mia giornata con il letto che sa di sigaro e la luce accesa. Stamattina la colazione prevede una torta Paradiso, marmellata di pesche, caffè e succo d’arancia. La ringrazio, parlo un po’ con lei. Un refolo d’aria mi scompiglia la frangia.

Sorprese

La soffitta mi aspetta: le scale scricchiolano, la porta fa fatica ad aprirsi. La luce che si accende al centro di quell’enorme stanzone è fioca. Il pavimento ha un unico tappeto grigio di polvere, arabescato da impronte di ratto e palline nere. Ci sono due grossi bauli al centro del pavimento. Sono antichi, di legno spesso e ferro battuto. I coperchi sono pensanti, ma rivelano oggetti che mi lasciano a bocca aperta. Nel primo baule ci sono due grossi libri con le pagine ingiallite e spesse, hanno la copertina di cuoio, lavorata. Una bacchetta di legno rosso, intarsiata finemente, sembra antichissima.

Avvolte in vecchi giornali ci sono boccette vuote, un pestello di marmo, una pentola e un paio di mestoli anneriti. Nel secondo baule ci sono sacchetti pieni di erbe o di polvere di spezie, boccette con liquidi colorati. In cucina, la luce del sole gioca con la polvere dei libri che appoggio sul tavolo. Il titolo del primo libro recita: incantesimi, sortilegi, magie, utilità. Un’elegante scrittura a volute. La prima pagina del secondo libro ha un ritratto di donna, molto simile a me e il titolo è: La stirpe.

La stessa calligrafia elegante, a volute, sempre uguale. Ogni pagina ha il nome di una donna, alcune riportano la cronologia della loro vita, altre hanno solo la data di nascita e di morte, magari con il nome del marito e dei figli. Le prime date risalgono al 1300. La pagina dedicata a mia madre è così: data di nascita, data di morte, il mio nome e quello di mio padre. La mia pagina ha solo la mia data di nascita. C’è un foglio a quadretti piegato.

Lettera da mamma

“Mia cara Beth, quando sei fuggita ho gioito. Perdonaci per non averti resa felice. Non ti ho mai persa di vista, sono stata molto fiera di te, per ogni tuo successo. Adesso devi sapere chi sei, non sarà semplice accettarlo: tu sei una strega. Dal 1300 a oggi, nella nostra famiglia, il potere ha sempre saltato una generazione. Quello che troverai nei bauli è l’eredità di tua nonna. Sull’altro libro, sulla seconda pagina, c’è l’incantesimo per attivare i tuoi poteri, che nonna ti ha tolto il giorno del tuo primo compleanno. Solo se vorrai. Nella nostra famiglia le streghe sono sempre state buone, dedite alla cura di ogni dolore. Quella che hai trovato è una bacchetta che renderà più forti i tuoi poteri.

Ho bisogno di alleggerire la mia anima e lo dico a te: quasi un anno dopo la tua fuga, tuo padre ha rovinato due crostate che dovevo vendere. Per dispetto, visto che aveva appena finito pranzo e che aveva avuto una fetta di torta al cioccolato come dolce. Ho deciso che era la fine, l’ho lasciato ubriacare, ho aspettato che si addormentasse sul divano. Gli sono salita sul petto e l’ho soffocato con un cuscino.

Ho riempito due valigie con le sue cose, ho scavato una buca in cantina e il suo corpo l’ho trascinato giù con una coperta. Spalare terra su quel corpo è stata una liberazione.

Il mattino dopo sono andata in banca e ho svuotato il conto dal distributore automatico. Ho preso l’auto e sono andata all’aeroporto. L’ho lasciata in fondo al posteggio, senza targhe e documenti. L’hanno recuperata dopo due mesi.

Ho denunciato la scomparsa di mio marito dopo una settimana, l’agente ha scritto tutto, si è stretto nelle spalle e mi ha detto che “non avere marito è meglio che averne uno cattivo”.

È finita così, il suo fantasma aleggia qui, ma so tenerlo a bada. Tu puoi eliminarlo definitivamente se vorrai diventare una strega. Cerca l’incantesimo. Sii felice, Beth. Dio ti benedica. Tua madre.”

Sono una strega

Rileggo più volte quella lettera, penso alla vita dura che ha avuto e lascio rotolare le lacrime. Guardo l’altro libro e trovo gli incantesimi che mi ha indicato. Uno per attivare i miei poteri di strega, uno per bloccarli di nuovo, uno per cacciare in modo definitivo un fantasma. Trovo anche una serie di piccoli incantesimi utili per le esigenze di tutti i giorni: trovare un oggetto perduto, spostarmi di qualche chilometro, riordinare una stanza, ma anche incantesimi per situazioni più particolari come scacciare il malocchio, avere bambini o non averne, trovare del buon bestiame al mercato.

Devo pensare, vado a passeggiare sulla spiaggia. Il silenzio è rotto dalle grida dei gabbiani e dal frangersi delle onde. Sul bagnasciuga c’è l’acqua fredda e un vento teso che mi schiarisce le idee. Mi preparo: leggo con attenzione gli ingredienti della pozione e i passi necessari per cacciare il fantasma. Il baule della soffitta ha tutto il necessario. Attivare i miei poteri da strega è il primo passo. Stasera sarà la prima sera di luna piena. Prendo la bacchetta, si adatta alla mia mano, tiepida e confortevole, accendo cinque grosse candele bianche, le unisco con il sale grosso e formo una stella, leggo le parole latine che mi sembrano chiare e familiari.

Dalla luce delle candele si alzano scintille fosforescenti. Ci sono bianchi fantasmi, le mie antenate sembrano sorridere, mormorano una litania fatta delle stesse parole del mio incantesimo. Le fiammelle, il fumo, le scintille, si riducono poco per volta, sino a spegnersi del tutto. Scoprirò subito se ha funzionato: uso un incantesimo di utilità per pulire la soffitta: niente polvere, niente topi o ragnatele e un leggero profumo d’incenso. Sono una strega! La mente è lucida, sono determinata a risolvere il problema dello scheletro e del fantasma. Domani; la notte mi porta un sonno tranquillo, le ombre non mi fanno più paura. La colazione è pronta e profuma di croissants con la marmellata, caffè e succo di frutta.

Il rito

Preparo la pozione e ottengo una bottiglietta da mezzo litro, con un terribile odore che fa prudere il naso. In cantina scavo per liberare lo scheletro. Lo scheletro è grigio e mummificato, lunghi capelli neri e denti gialli. Suona mezzanotte. Verso la pozione sullo scheletro, mentre recito la prima parte dell’incantesimo. Una lunga ombra nera, scivola lungo le scale gemendo, si contorce, si ricongiunge con lo scheletro nella fossa. Trattengo il fiato quando si sprigiona il fumo acre; fiammelle azzurre incominciano a consumare tutto. Rimane solo polvere, ricopro tutto con la terra. La compatto: presto non si vedrà più niente. La casa profuma di salvia e incenso, stanotte spegnerò la luce.

Un nuovo amico

Vado a vedere la tomba di mia madre: gli abitanti del paese le hanno donato una bella lapide di marmo chiaro. Ci sono fiori freschi. Alla commessa del negozio di fiori lascio un rotolo di banconote con l’indicazione di cambiarli una volta alla settimana, sino al mio ritorno. Davanti alla porta di casa, sullo zerbino, c’è un esserino miagolante, gli occhietti blu, tutto pelliccia e ossa. Sono una strega completa, ho un gatto nero e il nome sarà “Bones”. Lo raccolgo, ronfa, si adatta alla mia mano. Il latte è sul tavolo, tiepido e dolce. “Grazie, mamma!” Gli eventi hanno deciso per me: strega, casa, gatto e un emporio da aprire per aiutare la mia gente. Troverò pace.

 

Il faro di Antipaxos – Racconto horror

Il faro di Antipaxos

Il racconto “Il Faro di Antipaxos” è tratto dall’Antologia: Orrore al sole 2022, pubblicato da: Letteratura Horror

Melanie Philler raccoglie la posta. Tanta pubblicità e una grossa busta bianca. Una bella calligrafia elegante e una penna stilografica, strana scelta per un’offerta commerciale. “Gentile signorina, il suo nome è stato estratto… per una settimana…”. Legge quella lunga lettera più volte.

Ha vinto una settimana, completamente gratuita, sull’isola di Antipaxos. La firma è del direttore di una rivista di fotografia a cui è abbonata. Il sogno di una vacanza all’insegna della fotografia, completamente gratuita, è troppo bello per farsi delle domande.

Raggiunge l’isola di Antipaxos con il taxi boat del comandante Ignatios. L’uomo è piccolo, muscoloso, abbronzatissimo. Vicino ai suoi bagagli ci sono le provviste per l’isola.

«L’isola è deserta, vero?»

«Nai! Sì. La stagione è quasi finita. Sono rimasti pochissimi turisti.»

«Devo trovare il signor Gheorghe Morar.»

«È il guardiano del faro, l’unico abitante dell’isola. Kaly Tychi! Buona Fortuna. Sono anni che gli porto il cibo ogni settimana e non l’ho mai visto.»

«Come?»

«Arrivo al pontile, porto le provviste in casa, prendo l’ordine per la settimana successiva e vado via. A volte consegno conigli.»

«Conigli?»

«Gheorghe fa questo: li alleva, li mangia, concia le pellicce.»

«Capisco.»

Arrivo sull’isola

Il taxi boat si ferma di fianco al pontile. Quando Igniatios deve ripartire, guarda Melanie con un’espressione dubbiosa.

«Kaly Tychi! Buona fortuna. Vengo a prenderla la prossima settimana. Se ha bisogno, usi la radio militare, chieda a Gheorghe. Kaly Tychi!»

L’uomo si fa il segno della croce, bacia un crocifisso ortodosso che porta al collo e si stacca dal pontile. Melanie si chiede perché abbia fatto un gesto simile. Un soffio gelido le sfiora la nuca e un brivido le corre lungo la schiena mentre si dirige verso il faro. Gheorghe Morar non c’è. Visiterà la casa e sistemerà le provviste da sola. Un ambiente unico per cucina, salotto e ufficio. Due camere da letto e un bagno.

L’arredamento è essenziale e un po’ consumato. La radio militare è su una grossa scrivania coperta di fogli. Dietro una porta di metallo ci sono le scale che portano alla lampada del faro. Melanie lascia i bagagli in una stanza che ha solo un letto in ferro e un armadio vuoto.

Trascorre il pomeriggio al limitare della spiaggia. Si addormenta all’ombra degli alberi. Un fruscio e l’impressione di essere osservata la risveglia bruscamente. Attraversa la spiaggia ed entra in acqua. Qualche bracciata e poi si dirige verso casa.

La porta è aperta, si sente rumore di stoviglie. Un uomo sta preparando la cena. Ha un fisico imponente, indossa una camicia di lino bianca e un paio di pantaloni di cotone stinti.

«Buonasera, mi chiamo Melanie. Grazie per questa opportunità. L’isola è bellissima.»

«Kaló apógevma. Kalos irthathe. Vuol dire: Buona sera e benvenuta. La camera va bene?»

«Benissimo, grazie! Stasera uscirei un paio di ore per scattare qualche fotografia, se posso.»

«Che cosa fotografa?»

«Uccelli notturni, flora e fauna autoctone.»

«Capisco. Resterà fuori tutta la notte?»

«Un paio d’ore mentre c’è ancora un po’ di luce.»

«Stia attenta. È un’isola selvaggia. Non ci sono strade illuminate, sentieri segnati. Il bosco è fitto. Sarò impegnato tutto il giorno, tornerò domani sera.»

faro Antipaxos Racconto horror

Gheorghe è un uomo di bell’aspetto, maturo, con mani lunghe e magre. È stato silenzioso per tutta la cena, e lei ha rispettato il suo riserbo. Il crepuscolo non durerà ancora molto. Nel bosco non si sente il minimo suono. Qualcosa di pericoloso la sta osservando. Continua a camminare sino ad una radura. Un battito d’ali attira la sua attenzione, è un suono improvviso, forte, ritmato. Un grosso pipistrello attraversa il cielo e si dirige verso Paxos.

Quando il buio è più intenso, s’innervosisce. Non c’è movimento tra gli alberi, quindi ritorna al faro. La casa è silenziosa, si stende sul letto cigolante e si addormenta subito.

Sogno o realtà?

Il bosco che sta sognando è pieno di sussurri, schiocchi e versi inquietanti. Verso di lei avanza uno strano essere senza lineamenti. Un lungo corpo sottile con braccia, mani e dita lunghe. I cespugli sembrano spostarsi al suo passaggio. Quando l’essere la raggiunge, l’avvolge in una nuvola di fumo odoroso di muffa. Pietrificata dal terrore apre la bocca, vorrebbe urlare ma la voce non esce.

Il suo braccio sinistro si solleva, sente una puntura e un rumore liquido di sangue che viene succhiato. Il suono della sveglia la riporta alla realtà. Si guarda intorno, si sente confusa. Sudata e fredda guarda il polso sinistro su cui ci sono due minuscoli punti rossi perfettamente allineati. Con il cervello annebbiato si trascina in cucina per una tazza di the forte. La porta della stanza di Gheorghe è aperta, l’uomo è già uscito.

Attraversare lo spiazzo assolato davanti a casa è una tortura. La pelle brucia e il sole le dà fastidio nonostante gli occhiali scuri. Costeggia la stretta ombra del muro di casa e raggiunge l’ombra fresca del bosco. Non tocca la sabbia calda della spiaggia. Distesa all’ombra guarda il mare, sprofonda in un sonno profondo per tutto il giorno.

In cucina, Gheorghe sta preparando la cena. Raddrizza la testa e non si volta. Le porge un piatto: coniglio appena scottato in padella. Sorride soddisfatto. Sembra aver capito che lei è affamata come non mai. Gli occhi dell’uomo hanno un cerchio dorato e lucente intorno alle pupille e Melanie ne resta affascinata. Lo sguardo sembra entrarle dentro e frugare tra le sue carni e l’anima. La sta aspettando in salotto con due bicchieri di liquido rosso e denso sul tavolino da the.

«Finiamo la serata con qualche parola? A volte è gradevole un po’ di compagnia.»

Melanie si siede sulla poltrona di fronte a lui. L’uomo le porge il bicchiere caldo. La guarda negli occhi e mentre il suo stomaco rischia di rivoltarsi, lui la costringe a bere, solo guardandola. È sangue, caldo e viscido; disgustata lo beve senza fermarsi. Gli occhi dell’uomo non si staccano dai suoi. La voce è suadente, parla di navi e tempeste. Un’altra voce, dentro la sua testa, le fa un lungo elenco di cose che deve sapere: il sole incenerisce, deve bere sangue caldo regolarmente, può trasformarsi in pipistrello o nebbia. Vivrà duecentocinquanta anni. Non può sottrarsi, ormai deve percorrere quella strada.

La maledizione

Gheorghe accende una vecchia radio, ne esce una musica lenta, un po’ gracchiante. Prende la mano di Melanie, l’aiuta ad alzarsi e le appoggia una mano sul fianco. Elegante ed educato, la fa scivolare lentamente su quel pavimento che sente di sfiorare appena. Quando la musica cambia, Gheorghe le dà un bacio leggero sul polso prima di portare il braccio intorno al suo collo. I loro corpi aderiscono e Melanie prova una sensazione di languore, il cuore le batte forte, una vena pulsa. Il corpo dell’uomo non trasmette calore e la pelle è cerea.

“Qualcuno ti aspetta a Londra?”

“Nessuno.”

Gheorghe sembra soddisfatto. La guarda e incomincia a raccontarle una storia terribile.

«Vivo qui da duecentocinquanta anni. Sono un non morto, un vampiro. Ero un marinaio. Avevo una moglie e due bambini piccoli. Ho accettato il lavoro al faro per stare vicino alla mia famiglia. Dopo un mese mia moglie si è ammalata, sempre più debole e magra. Eravamo soli, abbandonati a noi stessi. Si sono ammalati anche i nostri figli. Una notte, un uomo bussa alla mia porta.
Mi ha offerto una morte indolore per i miei cari in cambio di una “non vita” per duecentocinquanta anni, al suo servizio. Ero disperato e ho detto di sì. Ha affondato i denti nel mio collo, mi sono sentito morire. Quando mi sono risvegliato era notte fonda. Ho messo fine al dolore della mia famiglia. Li ho sepolti in fondo alla grotta. Trascorro lì le mie giornate, di notte servo il mio padrone e mi nutro di sangue caldo. Domani il mio tempo sarà finito.»

Melanie capisce la disperazione di Gheorghe. Il pensiero la tiene lontana dall’orripilante prospettiva del suo futuro. Quei due puntini sul suo polso sono la sua condanna. Presto sarà una non morta. Guarda negli occhi Gheorghe. Sta perdendo lentamente la sua umanità, ma una lacrima sfugge al suo controllo. Lui l’asciuga piano e mormora “Efcharistó. Grazie.”

L’uomo la solleva e la porta nella sua stanza. Le bacia piano le labbra, scende lungo il collo e punge. La sua schiena s’inarca in un guizzo di piacere. Gheorghe bacia il suo braccio e lei geme, il piacere e il terrore si mescolano, sino a quando i denti affondano nel polso. Mentre il suo corpo esplode in scariche elettriche di piacere, la sua mente cerca di arginare la paura folle che sta provando. Il cuore le fa male, ha poco sangue da pompare. L’ultimo battito e poi la vita finisce. Nel suo ultimo istante di lucidità, l’uomo le sussurra: “Ti prego, liberami da questa maledizione.”

Melanie riapre gli occhi. Il buio è fitto. Deve nutrirsi subito, non ha mai provato un desiderio così perentorio. Gheorghe è disteso sul letto, sveglio, lo sguardo fisso davanti a sé, le braccia distese lungo i fianchi. Lei si ferma sulla soglia, accecata dal desiderio. Sente l’odore della pelle, il respiro e lo scorrere del sangue nelle vene.

La bocca le fa male, nuovi denti sono cresciuti in fretta e sembrano essere attratti dalle vene blu che pulsano sotto la pelle cerea. Quando affonda i denti nel polso, il desiderio diventa irrefrenabile, succhia sino all’ultima goccia.

Addio Gheorghe

Melanie ha posto fine alla non vita di Gheorghe e il suo corpo è invecchiato in un attimo. La pelle è diventata cuoio scuro, appiccicata alle ossa. Le orbite si sono svuotate, le guance infossate e i capelli sono diventati radi, lunghi e bianchi. Melanie vede scorrere un’unica lacrima che subito scompare. Un raggio di sole sfiora il letto, il corpo avvizzito diventa cenere.

Melanie si ritrae, quel raggio dorato la terrorizza. Striscia verso la botola che c’è ai piedi del letto. Gli occhi si abituano al buio, sente il battito di piccoli cuori spaventati e un’altra presenza. È il suo padrone, essenza di terrore e morte. Lei s’inginocchia mentre lunghe mani e lunghissime dita la sfiorano.

«Padrone!»