La maledizione di Lorenza – Pillola

Ecco una pillola di “La maledizione di Lorenza” ,  romanzo fantasy. Il secondo con Pav Edizioni.

La maledizione di Lorenza
La gatta

“Cinque ore di sonno senza sogni, ma adesso sono sveglia e ho fame. Un languore sensuale, le mie braccia indolenzite si allungano e il dolore sparisce come per magia. Stendo i muscoli della schiena e le ossa scricchiolano. Il mio corpo si rianima, sembra cambiare, rinvigorirsi, invaso da un nuovo calore che non conosco. Mi dirigo verso la cucina, non ho bisogno di molta luce per trovare il frigorifero che è vuoto e freddo. C’è solo il pacchetto del latte, nello sportello. Lo guardo, non è scaduto, ma è gelido. Sento la sua consistenza sotto le dita, non mi piace, deve diventare più piacevole, devo farlo scaldare. Voglio il latte caldo e dolce con tutte le mie forze, lo stomaco mi fa male, ho una fame terribile. Tolgo il tappo e aspiro riempiendomi i polmoni di quel profumo che conosco ma che stamattina è cento volte più intenso. Sento l’acquolina in bocca, se non fosse freddo l’avrei già bevuto. Ho l’urgenza di versarlo in un tazzone, ci aggiungo due cucchiai colmi di zucchero e lo metto nel microonde. Neanche due minuti per stringere tra le mani quella tazza calda. Lo stomaco si stringe, la pelle si solleva e io sento un piacere che mi fa impazzire di desiderio, un brivido elettrico che mi fa tremare. Sento che in me sta cambiando qualcosa. Appoggio la scodella sul ripiano della cucina.

Trasformazione.

Guardo le mie mani, si stanno ricoprendo di una peluria nera e lucida, le unghie diventano sottili e candide, ho le zampe di un felino al posto delle mani, il corpo si stringe, si contorce, si piega.

Sento scorrere nelle vene la forza che ieri mi ha trasformata in uccello. Nel riflesso di un vetro, guardo il gatto che sono. Due occhi gialli sbucano da un perfetto corpo nero. Una lunga coda, zampe scattanti, corpo sinuoso. Sono una magnifica gatta. La mia lingua rossa sporge dalle labbra sottili e il mio naso sente l’odore del latte caldo, freme, si apre e si chiude in fretta. Le particelle d’odore arrivano al mio cervello come scariche elettriche che mi fanno capire che devo decidermi a mangiare mentre la mia coda batte contro i fianchi.

Latte.

La mia piccola lingua si allunga incerta verso quel liquido, lo sfiora, affonda e mi porta in bocca una gamma infinita di sapori che mai avrei immaginato. Quanta gioia e soddisfazione c’è in quel primo sorso di latte dolce e caldo!

Sono felice, felice come mai sono stata. In fondo al mio stomaco qualcosa incomincia a vibrare: sto ronfando! Socchiudo gli occhi per quelle vibrazioni di puro piacere e lecco con determinazione tutto quel liquido delizioso. Quando la tazza è vuota e non ha più la minima traccia di latte, mi dedico alle mie vibrisse. Lì c’è ancora latte, ce n’è ancora sul pelo del mio muso, qualche goccia anche sulla mia pettorina. Nulla va sprecato di quella prima tazza di latte.

Dormire come un gatto.

Scendo dal ripiano della cucina con un salto leggero, mi lascio alle spalle una tazza asciutta. Mi dirigo verso la mia stanza. Il mattino è appena incominciato e la luce filtra dalle persiane. Vedo bene, conosco quella casa, sento la presenza dei mobili e arrivo alla mia stanza. Un passo dopo l’altro con i polpastrelli che sentono il pavimento, con la coda che sfiora sinuosa un mobile, con il muso che s’infila nella fessura della porta e la apre piano.

Guardo la stanza e il letto sembra chiamarmi. Alto, sicuro, morbido, invitante come un nido. Mi accuccio e ascolto il mio istinto, il salto è un movimento fluido che so come fare, con sicurezza ed eleganza. Sento il mio odore umano, lo shampoo, il bagnoschiuma, la crema idratante, l’odore della mia pelle, il detersivo e l’ammorbidente.

Sento il sole che ha asciugato quelle lenzuola. Odori che si mescolano o si scompongono nel mio naso e poi nella mia testa. Salto, giro su me stessa per tre volte, mi acciambello proprio al centro di quel letto che sembra desiderare accogliermi. Lascio che il languore del liquido caldo che mi riempie lo stomaco, mi faccia scivolare di nuovo nel sonno.”

 

 

 

L’invasione dei Babbi Natale – Racconto Horror

Il racconto “L’invasione dei babbi natale ” è tratto dall’Antologia: “Un natale horror 2022”, pubblicato da LetteraturaHorror

Chiudere l’ufficio alle 22 del 24 dicembre è la cosa più brutta che ci sia. Ginevra è arrabbiata, il dottor Condotti, alle 17, le ha buttato sulla scrivania il lavoro delle altre due segretarie, già in ferie.

“Per il 27 mattina, alle 9. Buon Natale!”

È andato via ridendo.

Lei avrebbe voluto urlare, ma la rata del mutuo l ‘ha trattenuta. Non ha dato neanche retta alle lacrime. Ha guardato l’orologio e ha capito subito che aveva solo da lavorare senza distrazioni. Così alle 22, chiuso lo studio, Ginevra scende in strada. Non c’è nessuno. Non un’anima. Non un’auto, un autobus. Unica soluzione, fare a piedi i dieci isolati che la separano da casa sua. Il primo negozio è un minimarket. Spento e chiuso.

“Ecco Ginevra, niente cena. Oh, niente pranzo di Natale probabilmente. Gioverà alla dieta.”

Parlare da sola la fa sorridere, ma la sua voce, anche se bassa, sembra echeggiare nella via.

Si guarda intorno e nota quanto sia deserta la via. Una via che di solito è trafficata, con molta gente che cammina sui marciapiedi, auto e moto che sfrecciano e tre linee d’autobus. La conosce bene quella via e adesso è vuota, completamente. Solo i lampioni e i semafori funzionano. Una benedizione nel buio e nel silenzio della via.

Spavento:

Un rumore improvviso la fa sussultare: il suono distinto di un coperchio di metallo che cade e il miagolio terrorizzato di un gatto.

La donna si ferma, raggelata da quel lugubre grido di terrore. Alla sua sinistra si apre una strada stretta. Un lampione illumina un Babbo Natale, enorme. Il cuore batte all’impazzata, il sudore freddo le appiccica la maglia alla pelle. Sgrana gli occhi e in un attimo memorizza la scena terribile che sta guardano.

Sotto il lampione, un Babbo Natale alto almeno un metro e novanta sta mangiando il gatto. Dalla bocca esce un tentacolo, entra nel gatto e fa il più orribile rumore di risucchio che lei abbia mai sentito. Un rumore così forte che lei può sentirlo dall’angolo della via. Rabbrividisce ancora e incomincia a correre. Non lo ha deciso spontaneamente, una scarica elettrica di terrore le ha percorso la schiena e ha messo in moto le sue gambe. Il suono dei tacchi sembra rimbombare sulla strada, ma lei si alza sulla punta dei piedi e il rumore assordante cessa. Vorrebbe poter cambiare strada, ma lei deve andare avanti. Si guarda alle spalle, il cuore perde un battito quando vede Babbo Natale alzare una mano e farle “Ciao”. Il guanto è sporco, insanguinato, come la pelliccia bianca del costume e la barba. Il sorriso è una fila di lunghi denti gialli.

Corre più forte, il fiato le brucia i polmoni, ma ormai l’ingresso del palazzo è lì a pochi passi. Apre con le mani tremanti, il battente si richiude alle sue spalle con un rumore assordante, sale due piani di scale come se il diavolo le soffiasse sul collo. Quando riesce a entrare in casa, chiude la porta con tutte le mandate che la serratura le permette. Mette una sedia sotto la maniglia e non accende le luci, le basta il chiarore dei lampioni.

Prende il telefono portatile, chiama i suoi genitori, la sua vicina, la polizia: nessuno risponde. La linea diventa muta.

“Maledizione!”

Prende un grosso coltello da carne in cucina e si siede sul pavimento, a pochi passi dalla porta, la parete con il termosifone alle sue spalle. Il calore le asciugherà la maglia e le darà un po’ di conforto.

“Venderò cara la pelle. Venderò cara la pelle. Venderò cara la pelle!”

Guarda il salotto, alla sua destra c’è un piccolo albero di natale, due giri di luci spente che mettono tristezza. Si accendono da sole, lampeggiano, aumentano il ritmo e uno sbuffo di fumo nero le spegne definitivamente.

Suda di nuovo, quell’evento improbabile le sembra un segnale terribile. Il telefono muto, le luci, il silenzio, sono segnali che qualcosa non va, qualcosa di inspiegabile e assurdo.

Le mani sono gelate, stanno perdendo la sensibilità e le nocche sono bianche, intorno al manico del coltello che sembra d’argento alla luce che arriva da fuori.

Arriva:

Un rumore di passi nel corridoio, la luce che filtra sotto la porta s’interrompe. Due brevi linee scure si fermano e lei sente battere forte. La porta trema, scricchiola, ma non cede. Non ancora, almeno.

“OH, OH, OH! BUON NATALE! Sei stata una brava bambina? Ho un regalino per te!”

La voce non è dolce e delicata, non è piacevole ascoltarla, la promessa del regalo è un chiodo su una lavagna. Un brivido che scuote anche l’anima.

Ginevra sente il cuore scoppiare in petto, quello che credeva un uomo in carne e ossa, è una nebbia rossa che scivola nella fessura della porta. Entra in casa, lei non fa in tempo a bloccarla con uno straccio. Quel fumo corre veloce, le si avvicina, si solleva, ritorna uomo.

Ginevra ha un attimo per guardarlo e vedere i suoi occhi accendersi di una luce rossa come il suo costume. Una mano le penetra il ventre stringendo gli intestini. L’essere tira indietro la testa, la bocca si allarga, oltre ogni misura umana possibile e, tra i denti affilati, esce un grosso tentacolo grigio. Una fessura viscida si apre a sua volta mostrando altri denti che stanno per morderla al viso.

Orrore

Quello che vede è orrore puro. Incredibile, surreale orrore puro. Sente il sangue gocciolare sul pavimento, mentre il tentacolo saetta avanti e indietro come se volesse giocare con lei. Ha solo un attimo di lucidità per muovere il coltello da sinistra a destra. Un taglio netto, deciso per mettere fine a quella follia. Tutto finisce nell’istante in cui il tentacolo affonda i denti nel suo viso e le campane della chiesa suonano la mezzanotte.

Il 25 dicembre arriva e va via. Il 26 dicembre arriva e va via. Il 27 dicembre arriva e tanti Babbo Natale scendono per strada, una marea rossa e bianca con lunghi tentacoli dentati, che cercano cibo e nuovi compagni. L’invasione è incominciata.